L’ultima frontiera della neuropsichiatria, per la precisione
di una nuova disciplina chiamata neurobiologia interpersonale, è rappresentata
dalla scoperta che l’amore annullerebbe tristezza, ansia, paura e attiverebbe
gli stessi neuroni che si attivano nei consumatori di cocaina.
Insomma, una vera e propria droga per il nostro cervello:
una droga che crea dipendenza, una droga come medicina, il cuore che parla al
cervello.
Una droga come medicina:
Diane Ackerman, una studiosa, ha sperimentato gli effetti
positivi dell’amore nella cura del suo compagno; decisa a guarirlo dopo l’ictus
che gli aveva bloccato l’emisfero destro, quello che sovrintende il linguaggio,
ha cominciato a "sperimentare nuovi modi di comunicare: attraverso gesti, emozioni
facciali, giochi, empatia: e una tonnellata di affetto". Il cervello del marito ha risposto
positivamente alle cure, si è rimesso in moto rispondendo alle sollecitazioni e
ha dato così ulteriore conferma agli esperimenti già condotti dalla studiosa e
raccolti sul New York Times.
La risposta al “miracoloso cambiamento” sta nel fatto che il
cervello non smette mai di modificarsi.
Secondo la neurobiologia interpersonale di Dan Siegel dell’Università
di Pasadena, infatti, l'alchimia neurale continuerebbe per tutta la vita
soprattutto nel corso delle nostre relazioni interpersonali, mentre forgiamo
amicizie e scegliamo i nostri amori.
E’ come se il corpo continuasse a ricercare quell’unicità
sentita dal bambino con la propria madre, quella sincronia tra menti che oggi è
possibile rilevare con la scansione elettronica del cervello; si tratterebbe
della stessa sincronia che si registra tra gli innamorati.
Una droga che crea dipendenza:
Una ricerca dell’Università della California ha dimostrato
che anche i moscerini disperati “si attaccano alla bottiglia”; si, avete capito
bene, proprio alla bottiglia. Infatti, quelli che non fanno l’amore vanno a
caccia della frutta più alcolica perché in essa troverebbero un enzima in grado
di dargli un appagamento fisico assimilabile a quello dell’atto sessuale; si
tratta, infatti, di un enzima che l’atto sessuale produce in abbondanza. Ma l’appagamento
è anche amore, non solo sesso.
La prova del nove:
Un’altra ricerca dell’Università della California ha
dimostrato che le aree cerebrali che si “accendono” con il dolore fisico sono
le stesse che si registrano quando l’amata/o ci ha lasciati.
James Coan, dell’Università della Virginia, si è spinto
oltre: ha sottoposto a piccoli elettroshock le caviglie di un gruppo di donne.
Quando alle signore veniva accordato il permesso di tenere per mano il loro
amato i neuroni del dolore si accendevano con minor intensità.
(fonte: www.repubblica.it)
(Foto: Louisa Stokes
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